Cronaca di una sconfitta annunciata. Un’analisi dei dati delle ultime elezioni USA
Dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni Presidenziali USA, e durante tutta la campagna elettorale, moltissimi commenti ed analisi si sono concentrati sull’orientamento dei vari gruppi elettorali, sul voto femminile e quello dei diversi gruppi etnici, sulla classe sociale, sul livello di istruzione, etc… E’ però utile ragionare prendendo in considerazione i voti espressi e le loro variazioni rispetto alle elezioni del 2020, e non solo. Un quadro chiaro dei numeri è fondamentale per capire meglio il voto e le reali proporzioni delle forze in campo.
Il primo dato che emerge è che a differenza del 2016, Trump ha vinto non solo sui grandi elettori, ma anche nel voto popolare sebbene la sua vittoria alla fine del conteggio sarà probabilmente ridimensionata rispetto al disastro che sembrava emergere dai primi exit poll. Mentre scrivo non sono ancora finiti i conteggi in tutti gli Stati; soprattutto manca una parte dello Stato più grande, la California. Tuttavia, una previsione attendibile è che i voti finali saranno di poco superiori a 76,9 milioni per Trump e ai 74,5 milioni per la Harris. Quest’ultima, sebbene sconfitta, ha ottenuto molti più voti di quelli che nelle precedenti elezioni andarono a Obama (2008: 69,5 mln; 2012: quasi 66 mln) e a Hillary Clinton, la quale, pur perdendo la corsa per la Presidenza, aveva ottenuto più voti popolari di Trump: 66 milioni contro 63. .
Inoltre, bisogna ricordare che Biden quattro anni fa aveva conseguito un risultato strabiliante nella storia delle elezioni USA: più di 81 milioni di voti mentre Trump ne ottenne 74 milioni, per un totale di circa 158,5 milioni di voti.
Questi numeri ci aiutano a capire la dimensione delle forze in campo e la capacità di mobilitazione dei due candidati: quest’anno Trump è cresciuto di 2,1 milioni di voti (pari a circa il 2,8%) rispetto alle elezioni perse con Joe Biden; Kamala Harris ha perso 7,2 milioni di voti (circa l’8,9%) rispetto a 4 anni fa. Questi sono chiaramente i voti popolari, cioè il totale dei voti espressi dagli elettori statunitensi, senza tenere in considerazione la divisione tra Stati e la questione dei “grandi elettori”, ma è un dato politicamente importante, perché in passato per due volte i candidati democratici pur prendendo più voti in assoluto hanno perso nel conteggio dei grandi elettori: sono i casi di George W. Bush (50,5 milioni) contro Al Gore (51 milioni) nel 2000 e di Donald Trump (63 milioni) contro Hillary Clinton (66 milioni).
A questo punto però è necessario tenere presente un altro dato, soprattutto da parte degli osservatori europei abituati a dinamiche di voto e di consistenza del corpo elettorale relativamente stabili rispetto a quelle americane. Il dato è l’impressionante aumento negli ultimi anni dei voti espressi e della base elettorale. Infatti negli Stati Uniti la popolazione in età di voto, aumenta ogni 4 anni – quindi ad ogni elezione Presidenziale – di circa 10 milioni di persone. Di conseguenza dal 1992 ad oggi il corpo elettorale è aumentato di circa 75 milioni di persone, i cittadini registrati di oltre 42 milioni e i voti espressi di 51 milioni.
Tabella 1: Affluenza e voto nelle elezioni Presidenziali USA 1980-2024
Capire dove sono andati i voti dei 10 milioni di elettori in più rispetto alle scorse elezioni e quanti ne hanno intercettati i due candidati è interessante per l’analisi dei flussi elettorali. Intanto, possiamo provare a individuare alcuni elementi più specifici nei risultati elettorali a nostra disposizione. Sicuramente il voto totale ai due candidati conta, ma è anche utile considerare i risultati Stato per Stato. Ad esempio un dato generale è che la perdita di 7,2 milioni di voti da parte dei Democratici non è omogenea; infatti la maggior parte dei voti sono stati persi negli Stati dove era maggiore il margine a favore della Harris. I casi più eclatanti sono quelli di Massachusets, New York, New Jersey , Illinois e California. In questi soli cinque Stati la Harris perde circa 3,6 milioni di voti, cioè circa la metà del totale. È anche vero che i risultati di Trump sono leggermente meno buoni negli Stati tradizionalmente Repubblicani, ma quasi mai peggiori rispetto al 2020. In generale, negli Stati cosiddetti blu, i democratici perdono 4,8 milioni di voti e negli Stati di New York, New Jersey ed Illinois il risultato della Harris è particolarmente negativo, peggiore anche di quello di Hillary Clinton nel 2016.
Tabella 2: Variazione Voti Kamala Harris 2016-2020-2024 negli Stati tradizionalmente Democratici
Fonte: in tutte le seguenti tabelle i dati delle elezioni del 2016 e del 2020 sono presi dai dati ufficiali della House of representatives. I dati delle elezioni 2024 dai dati forniti dalla Associated Press al giorno 20/11/2024 ore 4:00 pm CET. Per gli Stati che avevano un livello di schede scrutinate tra il 94 ed il 98% i dati sono stati progettati al 100% in proporzione alle percentuali ottenute fino a quel momento dai due candidati.
Donald Trump avanza quasi sempre di alcuni punti negli Stati Democratici ma vi è qualche significativa eccezione. I risultati in Colorado, Hawaii, Illinois, Oregon e Washington dimostrano che la crescita elettorale di Trump non è inarrestabile. Inoltre, il saldo finale di Trump nelle roccaforti democratiche è solo dello 0,5% in più rispetto al 2020; nel 2016 era stato del 21,3%. Più che celebrare oggi i risultati elettorali di Trump in questi Stati, o lanciarsi in invettive sull’abbandono della working class, bisogna tener presente che lo sfondamento era già avvenuto nel 2020, nonostante la sconfitta di Trump.
Negli Stati rossi, cioè repubblicani, la Harris perde quasi 2 milioni di voti rispetto a Biden, pari all’8,6%. In proporzione le perdite sono inferiori a quelle subite negli Stati blu.
Diverso è invece il caso dei cosiddetti stati Battleground, quelli dal risultato più incerto e dove si decide il Presidente. Qui i Democratici perdono “solo” 450.000 sui 19,3 milioni di voti da loro ottenuti in questi Stati, cioè circa il 2,2%. Il risultato è molto simile a quello di Biden di quattro anni fa, quindi vicino al massimo storico dei Democratici, ma non sufficiente a vincere di nuovo i grandi elettori, perché Trump in questo caso segna i suoi decisivi guadagni avanzando del 4,3% rispetto al 2020 (quando i suoi voti erano aumentati del 21,6% rispetto alle elezioni precedenti).
In questo gruppo di Stati, il peggior risultato per la Harris è quello dell’Ohio con -203.162 voti (che, però, è anche l’unico Stato in cui Trump arretra, nonostante sia lo Stato di JD Vance). Negli altri Swing State le perdite sono più contenute (Arizona, Michigan, Minnesota, Nevada, New Mexico e Pennsylvania) ed in altri ancora guadagna alcune migliaia di voti (Georgia, North Carolina e Wisconsin). Gli unici Stati tra tutti questi in cui la Harris ha vinto sono Minnesota e New Mexico. Nel 2020 Biden aveva perso solo in North Carolina ed Ohio.
Questi dati dimostrano che i Democratici hanno combattuto duramente in tutti gli Stati contesi cedendo pochissimo terreno, avendo messo in campo una forte mobilitazione che ha portato a una grande partecipazione popolare. Nonostante perdite contenute o piccoli avanzamenti, però, Trump è riuscito a scavalcare in quasi tutti gli Stati la candidata democratica, prendendo quasi 900.000 voti in più rispetto al proprio risultato del 2020.
Prima di concludere questa analisi, un altro dato che deve essere preso in considerazione per avere un quadro più completo dei risultati è quello dell’elezione dei Senatori, il cui collegio corrisponde al territorio di uno Stato. Va tenuto presente che in questo turno sono stati rinnovati solo 34 seggi senatoriali su 100, e che si è votato solo in 31 Stati su 50. Kamala Harris ottiene quasi sempre lo stesso risultato o si trova dietro di poco ai candidati senatori del suo Partito. Donald Trump, invece, è sempre sistematicamente avanti, portando a casa evidenti vittorie personali. In alcuni degli Stati Battleground (Arizona, Nevada, Michigan e Wisconsin) i Democratici vincono al Senato ma perdono le Presidenziali. Se la Harris avesse vinto in questi quattro Stati (che valgono in totale 42 grandi elettori) i suoi voti sarebbero stati 268 e quelli di Trump 270.
Inoltre, negli Stati Battlefield dove si è votato per il Senato, la Harris è quasi sempre dietro al senatore e perde circa 290.000 voti, mentre Trump traina 1,1 mln di voti in più. In generale, confrontando i voti espressi per il Senato ed i relativi risultati per le Presidenziali Kamala Harris ottiene gli stessi voti (circa 15.000 in più), mentre Trump ne raccoglie 2 milioni. Quindi Trump, a differenza della Harris, ha attratto voti personali, andando oltre il voto dei candidati che lo sostenevano sul campo.
La risposta alla domanda: “Chi sono gli americani che hanno votato per Trump?”, è: “Quasi tutti gli stessi che avevano votato per lui quattro anni fa.” Potrebbe aver perso alcuni elettori repubblicani moderati, ma ha guadagnato 2 milioni di voti, radicalizzandosi ulteriormente e attirando nuovi personaggi, come ad esempio Bob Kennedy Jr., che, sebbene si fosse ritirato dalla corsa, è comunque apparso sulla scheda elettorale in 31 Stati, ottenendo 750.000i voti e portandone probabilmente molti di più al suo alleato. In generale, Trump sembra che abbia rastrellato tutto il possibile mettendo dentro e dicendo tutto ed il contrario di tutto. I democratici, invece, si sono divisi su diverse questioni (ritiro della candidatura Biden e Medio Oriente in primis).
C’è una parte del Paese che si riconosce in Trump nonostante le sue proposte e il personale politico che gli sta intorno. Il punto è capire perché oltre 7 milioni di elettori che avevano dato fiducia a Biden ed ai Democratici alle scorse elezioni questa volta non sono andati a votare. I democratici hanno raggiunto il migliore risultato elettorale di sempre dopo quello del 2020, ma c’è una parte del loro potenziale elettorato che, soprattutto dove ha potuto farlo più liberamente, non ha votato (quasi 5 milioni di voti in meno solo negli Stati Blu), mentre negli Stati dove si è combattuta la battaglia per la Presidenza gli elettori hanno risposto meglio. Inoltre, visto che la maggior parte delle perdite si verificano nelle grandi città e nelle aree metropolitane, si può supporre che abbia influito il voto di opinione.
Dopo le elezioni molti si domandano come sia possibile che dopo il 6 gennaio 2021 e l’assalto al Congresso USA, ci siano ancora americani che votano per Trump. Spesso anche durante la campagna elettorale i democratici e la Harris hanno parlato dell’assalto al Parlamento come di uno spartiacque, di un prima e di un dopo. Ma a mio avviso il 6 gennaio non è uno spartiacque, ma solo l’epilogo, il colpo di coda, di quattro anni di governo eversivo che ha portato gli USA sull’orlo della guerra civile. Ricordiamo che nei mesi precedenti le elezioni 2020 si è registrato il record storico di vendite di armi, con file fuori alle armerie e squadracce di miliziani che scorrazzavano per il Paese, sparando nei cortei o assaltando le città (marcia su Portland). Dopo tutto ciò nel 2020 più di 74 milioni di americani hanno comunque votato per Trump. Contro questo, e i quattro anni di governo Trump brutale e fallimentare, gli americani – nel numero record di 81 milioni – hanno votato per Joe Biden e per voltare pagina. Come questo enorme e straordinario patrimonio sia stato sperperato è argomento di analisi politica e non di analisi dei dati, ma una seria analisi politica non può ignorare i risultati delle elezioni e il messaggio che i cittadini mandano attraverso le schede elettorali.
Alcuni temi chiave che possono aver influito sul voto e che hanno diviso l’elettorato democratico sono: l’eredità della gestione COVID, che nelle elezioni ha penalizzato tutti i governi coinvolti anche in Europa; tempi, modalità e strategia della candidatura della Harris, opacità della proposta politica e della prospettiva, mancata valorizzazione dei risultati economici di Biden, ma anche la preoccupazione dell’opinione pubblica per le politiche di guerra della passata amministrazione (fallimento nel risolvere la crisi Ucraina e complicità apparente nel disastro umanitario a Gaza).
Prima di cercare il capro espiatorio della sconfitta (di volta in volta nei musulmani per Gaza, negli uomini afroamericani per il maschilismo, nelle donne bianche per il razzismo, nei latinos per il disinteresse, nei non istruiti perché ignoranti, etc. etc…) forse la leadership democratica dovrebbe guardare ai numeri e dovrebbe riflettere sui suoi errori e sull’arroganza di credere che contro l’impresentabile Trump si sarebbe vinto in qualsiasi condizione perché gli elettori non avevano altra scelta. Ma purtroppo (e per fortuna) una scelta c’è sempre, e questa volta malauguratamente è stata fatta contro i propri interessi.
Fonti:
House of Representatives – Election Statistics: https://history.house.gov/Elections/
Federal Register: www.federalregister.gov
US Census Bureau: https://www.census.gov/en.html
Associated Press: https://apnews.com/projects/election-results-2024/?office=P
The American Presidency Project: https://www.presidency.ucsb.edu/
Election Lab of University of Florida: https://election.lab.ufl.edu/
US Election Project: https://www.electproject.org/