Finanza

Il Libro Verde 2030 sulla politica industriale: prime riflessioni*

Negli ultimi anni la politica industriale, genericamente definita come l’insieme delle misure adottate a sostegno del sistema produttivo, ha avuto in Italia una certa rilevanza, almeno sotto il profilo quantitativo. I vari criteri di misurazione della spesa per le politiche industriali nazionali convergono nel sottolineare che l’ammontare di risorse a favore delle imprese sia stato cospicuo; ad esempio, analizzando i dati della Ragioneria Generale dello Stato, i “Trasferimenti correnti alle imprese” e i “Contributi agli investimenti alle imprese”, queste spese avrebbero subito oscillazioni importanti: nel 2007 risultavano pari a 1,8 miliardi di euro (pari allo 0,11% del PIL) per attestarsi a 7,9 miliardi nel 2016 ed esplodere (anche a causa della pandemia) a 33,5 miliardi di euro nel 2020 (superando il 2% del PIL). Nel 2023 quella spesa ha registrato un ulteriore aumento posizionandosi a 43,6 miliardi di euro, ossia poco più del 2,1% del PIL. Al di là dei numeri, le varie misure di politica industriale sono state nel complesso frammentarie, disorganiche, spesso si sono sovrapposte l’una con l’altra a causa soprattutto del mancato dialogo tra le Amministrazioni locali e quella centrale.

In questo scenario, si inserisce il Libro Verde 2030 sulla politica industriale, elaborato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) e presentato a metà ottobre del 2024 presso la sede del CNEL. Il Documento ha creato un vero e proprio break strutturale grazie a due novità: i) avere riportato al centro dell’analisi la politica industriale letteralmente scomparsa nei dibattiti e nei contributi scientifici e accademici; ii) avere tracciato un percorso che vede coinvolti i vari stakeholders pubblici e privati attraverso una consultazione basata su un set articolato di domande aperte. I principali risultati del Libro Verde confluiranno in un Libro Bianco che cercherà di delineare gli obiettivi da raggiungere e di declinare le varie misure da adottare indicandone le specifiche tipologie, le fonti di finanziamento e i tempi di attuazione.

Il Documento si articola in tre capitoli e due Allegati. Nel primo capitolo, Il Libro esso traccia un percorso caratterizzato da diverse fasi che prevedono (nel marzo 2025) una Conferenza delle imprese e delle filiere (una vera e propria cabina di regia della politica industriale) avente lo scopo di identificare le principali filiere strategiche, costruire meccanismi di rappresentanza/governance, delineare incentivi a favore delle filiere. La pubblicazione del Libro Bianco sulla strategia industriale aprirà il 2025 del Made in Italy e sarà successivamente seguita da alcuni importanti appuntamenti nel corso del 2025 tra cui la Seconda Giornata Nazionale del Made in Italy (aprile) e gli Stati Generali dell’Industria (giugno).

Il secondo capitolo si sofferma sulle tre grandi trasformazioni in atto: Green, Tech e Geo evidenziando, per ognuna di esse, le principali criticità e le “risposte” in termini di policy da adottare a livello europeo. Il terzo capitolo ruota attorno al tema del ritorno della politica industriale attribuibile prevalentemente alla necessità di rispondere alle grandi sfide e transizioni che non possono essere governate solamente attraverso meccanismi di mercato. Infine, Il Libro Verde contiene due Allegati: Il primo – Passato e futuro della seconda manifattura d’Europa: verso il nuovo Made in Italy – offre un’ampia e approfondita analisi delle radici storiche del nostro sistema produttivo a partire dall’avvio del Rinascimento nelle città d’Italia mentre il secondo – Made in Italy: settori, comparti, filiere e domini economici – contiene una dettagliata analisi accompagnata da un’immensa miniera di informazioni statistiche – economiche sul sistema produttivo italiano.

Diversi sono i temi affrontati nel Libro Verde ma, a nostro parere, tre sono i punti cruciali su cui appare opportuno focalizzare maggiormente la nostra attenzione:

i) I nuovi e complessi compiti attribuiti allo Stato (si fa riferimento a uno Stato stratega: secondo questa visione “lo Stato applica al campo dell’economia di mercato la sua visione strategica, utilizzando le informazioni in suo possesso, coordinando gli interessi privati e impiegando gli strumenti normativi ed economici per raggiungere alcuni obiettivi necessari all’accrescimento della forza economica, del benessere della popolazione e dell’autonomia strategica”). La politica industriale non è solo lo strumento con cui affrontare i fallimenti del mercato, ma dovrà sempre più essere in grado di: fornire al sistema economico gli strumenti per prevenire e gestire gli shock esogeni del mercato, come la pandemia e le calamità naturali; consentire di raggiungere gli obiettivi delle transizioni green e tech; tutelare la competitività complessiva del sistema Paese, la quale dipenderà sempre più dalla capacità di affermarsi in un ambiente internazionale che sta divenendo sempre più ostile e complesso;

ii) l’importanza della geopolitica e della storia: il Documento dedica diverse pagine alle conseguenze della frammentazione geopolitica sul sistema produttivo e sulla globalizzazione. In particolar modo, “Il contesto geopolitico attuale appare molto più complesso, instabile e incerto rispetto al passato, caratterizzato da una molteplicità di sfide e dinamiche che sono in grado di impattare sul sistema produttivo nazionale e sul benessere economico del Paese. La nuova politica industriale nazionale non può non tener conto dei cambiamenti in atto, dovendo quindi assumere il nuovo scenario internazionale come il nuovo perimetro di azione in cui inserirsi”;

iii) la ridefinizione del rapporto tra l’economia e la sicurezza, quest’ultima avente un ruolo sempre più importante poiché comprende diverse dimensioni tra cui l’economia, il cambiamento climatico, i fabbisogni alimentari, l’energia. In questo scenario, “l’Italia sarà chiamata a sviluppare maggiormente e dare centralità alla dimensione della sicurezza economica”. Quest’ultima può, a sua volta, essere divisa tra distinte dimensioni: a) quella delle politiche industriali strategiche volte ad accrescere la forza economica del settore manifatturiero; b) quella che si occupa delle interdipendenze e delle vulnerabilità economiche; c) quella relativa al potenziamento delle industrie della difesa e della loro stretta interrelazione con il settore civile.

Il Libro Verde contiene, altresì, una serie di criticità. Innanzitutto, saranno cruciali, nella fase di passaggio dal Libro Verde al Libro Bianco, i risultati derivanti dalla consultazione che vede coinvolti i vari stakeholders e i principali attori economici. Il Documento contiene una serie di domande aperte; alcune di esse risultano però molto tecniche (solo pochissimi stakeholders saranno in grado di rispondere), alcune pretenziose (ad esempio come è possibile stabilire ex ante la percentuale di risorse da dedicare alla politica industriale?). Inoltre, il rischio delle domande aperte è che esse diano luogo a molteplici (e spesso contradditorie risposte) che sarà poi difficile formalizzare e, soprattutto, rendere operative e utili in termini di indicazioni di misure di policy da riportare nel Libro Bianco. Nel Libro Verde, come già evidenziato, si approfondiscono tre grandi trasformazioni: verde, tecnologica, geopolitica. A nostro parere avrebbe dovuto essere oggetto di ulteriore approfondimento una quarta trasformazione strutturale attribuibile al progressivo invecchiamento della popolazione che avrà molteplici conseguenze di carattere economico e sociale sul nostro Paese. Si fa solo un cenno al Piano Industria 4.0 e al Piano recentemente adottato Transizione 5.0 e non trovano risposta una serie di quesiti tra cui: quante risorse sono state utilizzate all’interno del Piano Industria 4.0? Come stanno operando gli otto Competence Center? Inoltre, il Libro Verde accenna all’importanza delle attività di monitoraggio e di valutazione, ma non è ben chiaro come si intenda procedere nell’impostazione della prossima Strategia di politica industriale. Altri spunti emergono, infine, dalla lettura dell’Allegato 2 – Made in Italy: settori, comparti, filiere e domini economici che contiene, in realtà, fin troppe informazioni offrendo scenari, non sempre di facile lettura, sul sistema produttivo italiano da angolature diverse. Tutte queste informazioni però come possono essere effettivamente utili e tradotte, all’interno del Libro Bianco, in specifiche misure di policy?

Al di là delle varie criticità suindicate, il principale punto di debolezza del Documento elaborato dal MIMIT è attribuibile al ruolo dello Stato Stratega, considerato cruciale per l’attuazione di una politica industriale di medio-lungo periodo. Qui si dà per scontato che siano conosciuti i pilastri su cui si fonda uno Stato stratega e non sono presi in considerazione modelli alternativi di Stato sviluppatisi nel corso del tempo. Non sono ben chiare, inoltre, le differenze tra lo Stato stratega e lo Stato imprenditore considerando che entrambi i modelli si fondano su una visione di medio-lungo periodo e su una collaborazione tra la sfera privata e quella pubblica.

In sintesi, una vera politica industriale deve essere realistica o sarà destinata a rimanere un libro dei sogni? Il Libro Verde ha ben presente, in primo luogo, alcune debolezze dell’apparato statale nel realizzare una Strategia di politica industriale legate prevalentemente: a) alla necessità di disporre di una serie di asset immateriali tra cui, in particolare, elevate competenze; b) alla costruzione di un patrimonio informativo; c) alla capacità di tradurre le molteplici informazioni acquisite in specifici interventi e decisioni di policy; d) alla capacità, infine, di leggere, interpretare e, quando possibile, anticipare i mutamenti e le varie transizioni interagendo con il sistema delle imprese. Fondamentale diventa l’acquisizione e la valorizzazione del patrimonio informativo: esso rappresenta il primo passo da compiere nel percorso che conduce dal dato all’informazione, quindi alla conoscenza e, infine, all’azione. Al riguardo, appare di cruciale importanza creare forme di sinergie e di collaborazione con l’ISTAT che, in questi ultimi anni, ha realizzato molteplici e raffinati Rapporti scientifici sull’economia italiana e, soprattutto, sul sistema produttivo anche per mettere a confronto gli studi e le diverse metodologie adottate (ad esempio sulle filiere produttive). Al di là dei vari “aggiustamenti” e delle possibili sinergie volte a migliorare il dialogo tra la sfera privata e quella pubblica, esistono però, a nostro parere, numerosi dubbi sull’effettiva capacità dei Decisori pubblici di realizzare una Strategia di medio – lungo periodo condivisibile tra le varie forze politiche e sociali. Ciò appare attribuibile prevalentemente alla mancanza di una visione di largo respiro legata, a sua volta, a una classe politica incapace di guardare oltre gli orizzonti elettorali di brevissimo periodo e di una classe dirigente spesso inadeguata a seguito dei meccanismi di selezione che non sempre premiano il merito e le competenze (per un’analisi più articolata sia consentito il rinvio a P. Carnazza, A. Pasetto, Dentro la black box della politica, Menabò, N.195, 2023).

Un’ultima riflessione: la politica industriale non dovrebbe calare dall’alto. Affinché il sogno di realizzare una Strategia di politica industriale possa diventare realtà occorrerebbe un grande sforzo collettivo che veda innanzitutto le forze politiche riunirsi intorno a un Progetto – Paese condiviso e che riesca a definire e realizzare concretamente forme di partneriato tra la sfera pubblica e quella privata. In questo scenario, un importante contributo alla realizzazione di una nuova politica industriale può essere dato dai vari attori economici e sociali (sindacati, imprenditori, consumatori, lavoratori, istituti bancari, etc.) che dovrebbero acquisire una maggiore responsabilità e avere piena consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo.


* Una versione più estesa di questo contributo è stata presentata al Workshop organizzato da SIEPI il 30 e 31 gennaio 2025 a Bologna.