Abbiamo la capacità di assorbire le innovazioni?
“…a man must carry knowledge with him, if he would bring home knowledge (un uomo deve portare con sé la conoscenza, se vuole portare a casa il sapere)”. Le parole di Samuel Johnson (1709-1784) riportate dal suo biografo e amico James Boswell contengono, in nuce, l’idea di capacità di assorbimento. Il concetto sarà preso in considerazione negli anni ‘70 e ‘80 del XX secolo e poi elaborato e applicato all’impresa in vari articoli di W.M. Cohen e D.A. Levinthal (“Innovation and learning: the two faces of R&D”, The Economic Journal, 1989; “Absorptive capacity: a new perspective on learning and innovation”, Administrative Science Quarterly, 1990; “Fortune favors the prepared firm” Management Science, 1994). Una fiumana di scritti segue con applicazioni non solo all’impresa ma anche alla macroeconomia.
La capacità di assorbimento è un concetto essenzialmente qualitativo e ha origini nella teoria dell’apprendimento. Si riferisce, in particolare, alla capacità dell’impresa – o altra unità di riferimento – di identificare, assimilare e sfruttare le conoscenze esistenti nell’ambiente circostante (Cohen e Levinthal, 1989). Nelle scienze economiche e sociali sono diversi i concetti qualitativi per cui si è arrivati a elaborare indicatori misurabili e comparabili tra paesi o nel tempo tramite accordi intra-professionali come avviene per il GDP o il valore di avviamento nei bilanci societari. Non è così per la capacità di assorbimento. Cohen e Levinthal suggeriscono come indicatore l’ammontare di spesa per ricerca e sviluppo. Molti successivi studi di impresa si basano su ricerche di campo e quantificano il concetto tramite domande specifiche. Vari indicatori e metodologie sono usati in applicazioni a livello macroeconomico. Poche sono le applicazioni settoriali.
In un nostro recente lavoro (“Indicators of absorptive capacity. Conceptual framework and estimates for 25 countries and 24 UK sectors”, Structural Change and Economic Dynamics, 2025) ci siamo proposte di sviluppare indicatori della capacità di assorbimento. La ricerca inizia con l’elaborazione del concetto intorno a tre principi di base: (a) la storia è importante perché le conoscenze sono cumulative e quelle attuali aiutano nello sviluppo e acquisizione di ulteriori conoscenze; (b) la conoscenza può essere incorporata in vari elementi: in beni fisici, infrastrutture, attività scientifiche e, molto importante, nel lavoro; (c) le conoscenze possono essere sviluppate all’interno dell’unità considerata (impresa, regione, paese, settore) o possono essere acquisite dall’esterno. Partendo da questi tre principi sviluppiamo varie dimensioni. Ogni dimensione è rappresentata da diverse variabili. Applichiamo gli stessi principi a due studi, uno a livello macro e uno a livello settoriale. Il livello macro riguarda 25 Paesi europei. Il livello settoriale riguarda soltanto il Regno Unito.
Illustriamo prima lo studio dei 25 Paesi, riportando solo elementi essenziali. La prima dimensione riguarda l’intensità di conoscenza rappresentata da variabili che incorporano l’infrastruttura di conoscenza e specificamente: spesa per ricerca e sviluppo (R&S); numero di pubblicazioni in riviste scientifiche; e numero di brevetti. La seconda dimensione vuole rappresentare l’incorporamento di conoscenze nel lavoro. Consideriamo il lavoro dal lato dell’offerta e della domanda.
Dal lato dell’offerta, le variabili sono rappresentate dal livello di istruzione della forza lavoro e, specificamente, il numero di persone con laurea e con qualifiche post-laurea. Ci siamo poi chieste: è possibile che la forza lavoro disponibile nel Paese sia istruita ma che gli ostacoli al suo impiego vengano dal lato della domanda? Cioè che sia la struttura settoriale dell’economia a porre un limite all’occupazione di forza lavoro istruita e non – o non solo – la disponibilità di lavoro qualificato? Per la forza lavoro consideriamo quindi un’ulteriore dimensione relativa all’impiego nel settore ‘servizi a conoscenze intensive’.
Le ultime due dimensioni riguardano cooperazione e connettività tra imprese o tra esse ed altre istituzioni. La connettività ha un aspetto sociale e un aspetto legato alla infrastruttura fisica cioè alla facilità di venire in contatto con altre persone/imprese e trarre beneficio dalla loro conoscenza. Il primo aspetto si rispecchia nella terza dimensione che riguarda il grado di connettività sociale. Per questa dimensione abbiamo usato, per i vari Paesi. la variabile ‘numero di imprese che cooperano per innovazione’ derivandola, per ogni Paese, dalla loro Community Innovation Survey. L’ultima dimensione si riferisce alla connettività fisica rappresentata da infrastruttura trasporti e comunicazione. Le variabili usate per questa ultima dimensione riguardano: autostrade, aeroporti e livello di digitalizzazione delle imprese.
Nel secondo studio si è voluto dar rilevanza alla struttura settoriale come elemento di grande rilevanza per una politica dell’innovazione (I. Almudi et al.,” Absorptive Capacity in a two-sector neo-Schumpeterian model: a new role for innovation policy”, Industrial and Corporate Change, 2020).
La ricerca settoriale si compone di due parti, una per le imprese più grandi e l’altra per le medio-piccole. I principi che ispirano lo studio settoriale sono gli stessi discussi per lo studio macroeconomico. E ciò vale anche per le dimensioni con le seguenti due modifiche. Nello studio settoriale la dimensione connettività fisica non viene considerata perché non applicabile alla struttura settoriale. Aggiungiamo invece un’altra dimensione: diversità. Cohen e Levinthal nel loro lavoro del 1990 e S. Zhara e G. George (“Absorptive Capacity: A Review, Reconceptualization and Extension”, Academy of Management Review, 2002) sostengono che l’impresa con varietà di conoscenze è più preparata ad affrontare l’incerto futuro perché può riconoscere rilevanti innovazioni di diverso tipo rispetto ad un’impresa molto specializzata in termini di conoscenze. Non è stato possibile trovare variabili e dati relativamente a questa ipotesi per lo studio macro ma lo è per quello settoriale e abbiamo, quindi, deciso di sottoporla a test. Sebbene le variabili nello studio settoriale siano concettualmente simili a quelle dello studio macro ci sono alcune differenze compreso il tipo di dati usati che, per la ricerca settoriale, vengono dalla Community Innovation Survey UK, CIS11, 2018.
La stessa metodologia viene applicata nello studio macro e in quello meso. In entrambi gli studi abbiamo usato dati pre-Covid19 per evitare bias da pandemia. I dati che esprimono flussi sono cumulati per 3 anni per tener conto del principio di storicità, cioè dell’accumulazione di conoscenze nel tempo. Per soddisfare questo aspetto, nello studio settoriale abbiamo usato anche dati precedenti a CIS11. I dati di tutte le variabili sono normalizzati per renderli comparabili tra Paesi. Le variabili sono standardizzate per tener conto delle diverse unità di misura. Esse vengono poi aggregate all’interno di ogni dimensione e, per ogni dimensione, calcoliamo e presentiamo i valori dimensionali della capacità di assorbimento. I valori delle varie dimensioni vengono poi aggregati in un unico valore della capacità di assorbimento totale. I due processi di aggregazione vengono fatti attribuendo pesi – ricavati da analisi fattoriali – alle variabili e poi alle dimensioni.
I risultati più robusti e attendibili si ottengono per le due dimensioni che si riferiscono all’incorporazione di conoscenze (nel capitale fisico e intellettuale e nel lavoro) rispetto ai risultati per le dimensioni che rappresentano l’acquisizione di conoscenze. Per quanto riguarda la dimensione lavoro ci sono segni indiretti che la struttura dell’economia – e quindi la domanda di lavoro – ha un ruolo rilevante sulla capacità dell’economia di assorbire lavoratori con alte qualifiche, come ci aspettavamo.
Nello studio macro, l’indicatore finale di capacità di assorbimento a livello di Paesi oscilla da 0 a 0.8. I Paesi con valori più alti sono: Danimarca, Paesi Bassi, Belgio e Svezia; i primi due con valori di 0.8 e gli altri due con 0.7. La Romania si colloca all’ultimo posto e Ungheria, Polonia, Lettonia e Bulgaria un po’ sopra con 0.2. L’Italia mostra un indicatore di capacità di assorbimento di 0.3 allo stesso livello dei seguenti Paesi: Repubblica Ceca, Estonia, Slovacchia, Croazia, Grecia e Lituania. Una conferma di questo risultato deludente per l’Italia sembra offrirla, ad esempio, il basso numero di dottori assorbiti dal settore privato come si riporta nel Capitolo 3 della Relazione sulla Ricerca e Innovazione in Italia del Consiglio Nazionale delle Ricerche del 2021.
Nondimeno per l’Italia il lato della domanda – con un indicatore di 0.4 – è ben al di sopra del risultato per la dimensione lavoro dal lato dell’offerta. Questa ultima riguarda la forza lavoro con livelli di istruzione superiore. Per l’Italia il valore è 0.1, come per Lettonia e Ungheria (in Romania è 0.0). Un dato che dovrebbe consigliare sia politiche per l’istruzione sia politiche per trattenere nel Paese giovani già qualificati e nella cui istruzione lo Stato ha investito.
I risultati dello studio settoriale per il solo Regno Unito sembrano indicare specificità dovute al settore più che alle dimensioni di impresa. Notiamo nei commenti finali che questa potrebbe essere una specificità del Regno Unito, un Paese in cui l’esternalizzazione della produzione è molto sviluppata e in cui, quindi, c’è forte sinergia tra grandi e medio/piccole imprese. È possibile, quindi, che simili studi – con relativi dati CIS – per altri Paesi mostrerebbero risultati diversi. Notiamo peraltro che, tra gli altri problemi che riguardano i dati, lo studio settoriale ha il forte svantaggio di escludere settori chiave per la conoscenza compresi quelli istruzione/accademico, sanitario e artistico che, purtroppo, non fanno parte della Community Innovation Survey. Restando ai risultati dello studio settoriale nel Regno Unito, la dimensione ‘diversità’ appare rilevante in termini di contributo alla capacità di assorbimento.
Si può discutere e non essere d’accordo su metodologia, variabili o dati da usare o usati in varie ricerche compresa la nostra, ma non crediamo si possa ormai discutere sulla rilevanza del concetto nel facilitare l’innovazione e le relative politiche. È forse venuto il momento di sviluppare una metodologia comune per effettuare stime che siano accettabili dalla comunità professionale oltre che comparabili tra Paesi e nel tempo. Il nostro lavoro intende essere un piccolo passo in questa direzione.