Il “quadrilemma della cura” agli anziani in Italia fra diritti alla cura e diritti dei lavoratori nel settore della cura. Un sistema di diritti negati?
L’Italia si trova e si troverà ad affrontare in maniera sempre più stringente nei prossimi decenni una serie di sfide importanti legate al tema della cura delle persone anziane con malattie croniche e/o non autosufficienti. A seguito dell’incremento demografico degli anziani e della riduzione dell’aiuto familiare disponibile, cresce la domanda di assistenza. Sul fronte dell’offerta, il PNRR e la riforma del sistema di cure nel campo della non autosufficienza puntano a sviluppare ulteriormente servizi professionali.
Entrambi questi cambiamenti sia dal lato della domanda che dell’offerta pongono al centro, anche più che in passato, il tema delle risorse umane professionali presenti ed impiegabili nel campo della cura degli anziani. In particolare, la diminuzione della capacità di cura informale/familiare, accompagnata dalla volontà/necessità di ampliare i servizi comporta un bisogno crescente di formare ed impiegare manodopera professionale in un settore i cui servizi sono strutturalmente ad alta intensità di lavoro, cioè basati soprattutto sulle prestazioni di cura offerte da lavoratrici e lavoratori. In questa prospettiva è pertanto fondamentale garantire condizioni di lavoro adeguate per rafforzare il nesso tra buona qualità del lavoro e buona qualità dei servizi offerti. La sfida pertanto è riuscire a conciliare l’espansione dei diritti alla cura con la tutela dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici del settore, e comprendere però, a quali condizioni tutto ciò avverrà e se la volontà/necessità di ampliare gli occupati in tale settore avrà successo. L’espansione dei diritti alla cura passa, pertanto, anche attraverso una politica di regolazione e di promozione dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori che curano.
Tuttavia, la letteratura internazionale sul tema mostra come il sistema delle cure per la non autosufficienza in tutti i paesi dell’UE si trovi a dover affrontare quattro sfide contemporaneamente: i) aumentare la copertura e l’intensità degli interventi di cura (aumentando quindi anche l’occupazione nel settore); ii) contenere o aumentare l’efficienza della spesa pubblica nel settore della cura per motivi di budget/austerità; iii) migliorare gli standard qualitativi dei servizi (si pensi all’accreditamento delle strutture residenziali); iv) offrire condizioni di lavoro adeguate (incluse le retribuzioni) in questo settore. Tale “quadrilemma” per le politiche della cura degli anziani può essere risolto in varie maniere. Fra queste, vi è anche la possibilità che la soluzione adottata dalle politiche pubbliche sia quella di sacrificare le condizioni di lavoro degli occupati nel settore a vantaggio delle altre tre sfide ed in particolare di una maggiore copertura dei bisogni, senza aumenti sensibili della spesa pubblica nel settore. Ciò, però, comporta oltre che situazioni di lavoro spesso non adeguate, anche il rischio di abbassamento della qualità dei servizi offerti e una ‘fuga’ o una non entrata di potenziali lavoratori e lavoratrici nel settore della cura.
L’Italia si trova quindi attualmente ad un crocevia particolarmente delicato in cui o si prosegue con decisione nella direzione di coniugare diritto alla cura delle persone anziane fragili e diritti lavorativi di chi professionalmente è impegnato in questo settore o si rischia una doppia crisi nel campo della non autosufficienza: crisi del diritto alla cura e ulteriore crisi del lavoro professionale di cura. Tenendo presente che i servizi in questo campo sono sostanzialmente ‘labour-intensive’(cioè dipendenti soprattutto dalle prestazioni di cura offerte dalle lavoratrici e dai lavoratori), una non adeguata tutela del lavoro professionale avrebbe ricadute dirette sui lavoratori e le lavoratrici, ma anche indirette sugli anziani e sulle anziane in termini di qualità e continuità della cura ricevuta.
Una recente ricerca coordinata dagli autori del presente saggio per lo SPI-CGIL nazionale (“Condizioni di lavoro e rappresentanza nel mondo della cura agli anziani non autosufficienti in Italia”, Rapporto di Ricerca SPI-CGIL, Febbraio 2025) ha permesso di indagare come in questi anni tale “quadrilemma della cura” sia stato affrontato in Italia. L’immagine che emerge non appare assolutamente rassicurante.
Complessivamente, il quadro da noi ricostruito restituisce una immagine del mercato del lavoro della cura molto ampio. Esso rappresenta una quota quantitativamente ampia dell’occupazione in Italia. Circa un lavoratore/lavoratrice su venti in Italia è impegnato in questo settore. Inoltre, si tratta di un mercato del lavoro molto dinamico in cui gli occupati sono praticamente aumentati di un terzo e l’incidenza sul totale dei lavoratori è quasi raddoppiata nel corso di un decennio. È un mercato del lavoro che crescentemente e in maniera largamente prevalente vede i lavoratori e le lavoratrici assunte da privati (aziende o famiglie: circa due terzi) e sempre meno da amministrazioni pubbliche; inoltre, presenta una forte etnicizzazione, dovuta soprattutto alle assistenti familiari, in larga parte straniere.
Alla forte crescita quantitativa dell’occupazione in questo settore, corrispondono condizioni di lavoro insoddisfacenti e salari generalmente bassi, non solo nel segmento delle assistenti familiari (straniere). Quindi la crescita del settore —sia in termini di offerta di servizi che di livelli occupazionali—è stata “povera”, basata, cioè, sulla svalutazione del lavoro. In un contesto di austerità dei bilanci pubblici (almeno in questo settore), l’espansione dei servizi di cura è stata ottenuta principalmente con l’informalizzazione (ovvero il lavoro domestico) e il ricorso al mercato privato attraverso pratiche di appalto e di accreditamento, ampiamente utilizzato per sfruttare i differenziali di costo tra il settore privato e quello pubblico. Al contempo, la crescita dell’occupazione nel settore pubblico è stata ostacolata da prolungati blocchi delle assunzioni e da politiche di contenimento salariale. Di fatto, sebbene le condizioni di lavoro nel settore pubblico siano ancora mediamente migliori rispetto a quelle nel settore privato, esse sono in generale peggiori di quelle di altri Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL): in particolare, il livello salariale stabilito nei CCNL pubblici rilevanti per questi servizi è piuttosto basso—sia in senso assoluto che in confronto ad altre aree dell’economia, a partire dalla sanità— e insufficiente a compensare il generale peggioramento delle condizioni di lavoro e l’aumento dei carichi di lavoro. Di conseguenza, né il settore pubblico né quello privato riescono attualmente a garantire condizioni attrattive per i lavoratori qualificati, e ciò ha aggravato ulteriormente la carenza di manodopera.
Negli anni più recenti, la pandemia è stato un punto di svolta per il settore della cura agli anziani poiché ha innescato una serie di cambiamenti che hanno portato a quella che viene attualmente percepita come una vera e propria crisi dell’offerta di lavoro di cura. In particolare, durante la pandemia, il settore pubblico ha avviato una campagna di assunzioni che ha provocato un massiccio spostamento della forza lavoro dai fornitori privati ai comparti pubblici delle Funzioni Locali e della Sanità, una vera e propria “fuga” dal settore privato della cura agli anziani. La crescente carenza di manodopera nel settore privato della cura ha, al contempo, innescato una forte intensificazione dei carichi di lavoro e degli orari, contribuendo ad aggravare il già pesante carico fisico e mentale legato al lavoro nel settore, con aumento delle malattie e degli infortuni professionali. Se questa dinamica si è manifestata in maniera particolarmente critica nel settore privato, il peggioramento generale delle condizioni di lavoro non ha risparmiato il settore pubblico, la cui competitività si basava comunque su presupposti fragili, considerati i bassi livelli salariali rispetto al resto dell’economia e al fatto che siamo di fronte a servizi ad alta intensità di manodopera. Pertanto, la ‘fuga dal privato al pubblico’ si è recentemente trasformata in una drammatica fuga generale dal settore. I lavoratori e le lavoratrici stanno esercitando il loro ritrovato potere di mercato – dettato dalla crescente domanda di lavoro concomitante alla carenza di offerta − scegliendo di abbandonare il settore, mossi dalla sfiducia di poter migliorare le proprie prospettive ma comunque consapevoli che sarebbe facile rientrare in caso di necessità.
In un’ottica comparata europea, le condizioni di lavoro nel settore della cura agli anziani in Italia sono per molti aspetti fra le peggiori nell’ambito dei paesi dell’Unione Europea, perlomeno di quelli a maggiore sviluppo e ricchezza relativa (Europa occidentale). Il livello di salari particolarmente basso, la forte presenza di un mercato del lavoro di assistenti familiari, spesso irregolare, vari aspetti delle condizioni di lavoro rendono l’Italia un caso particolarmente problematico. Allo stesso tempo, le sfide affrontate dall’Italia si inseriscono in un articolato e complicato contesto europeo in cui quasi ovunque vi sono problemi di scarsità di personale, legate a condizioni occupazionali spesso insoddisfacenti.
Dopo la pandemia è entrato nell’agenda di molti governi il tema di come affrontare la scarsità di manodopera. In particolare, si stanno delineando due strategie. La prima è definibile come la “via alta” per risolvere le carenze di manodopera nel mercato del lavoro della cura, intervenendo principalmente sul lato della domanda di lavoro. Questa strategia si basa sul miglioramento delle condizioni di lavoro e sull’aumento dei salari per trattenere coloro che già lavorano in questo settore e per attirare nuovi lavoratori. La seconda strategia è definibile come la “via bassa” per risolvere tali carenze, intervenendo principalmente sul lato dell’offerta di lavoro. Ciò si basa su politiche che tendono a deprofessionalizzare questo settore, attraverso misure quali il sostegno alla migrazione non qualificata da paesi terzi solo per colmare le lacune senza migliorare le condizioni di lavoro; l’abbassamento degli standard educativi e formativi richiesti agli operatori del settore; l’abbassamento dei requisiti strutturali per il funzionamento dei servizi (ad esempio, il rapporto previsto nella normativa fra unità di personale e numero di utenti).
In conclusione, se una parte dei paesi europei sta cercando di adottare una strategia orientata alla “via alta”, l’Italia non appare fra questi e, anzi, sembra ritagliarsi uno spazio di ‘campione’ della “via bassa”, avendo iniziato già oltre mezzo secolo fa a costruire il suo modello di cura agli anziani attorno al mercato privato (spesso irregolare) tramite assistenti familiari e mostrandosi poco intenzionata ad investire nel miglioramento delle condizioni di lavoro di chi opera in questo settore.