Il Rapporto Draghi: un cantiere aperto per salvare l’Europa
ALL’INTERNO DEL
Menabò n. 228/2024
28 Dicembre 2024
Marco Magnani ritiene che le azioni suggerite dal Rapporto Draghi discendano da alcuni valori affermati con chiarezza: prosperità, equità, libertà, pace e democrazia. Combinare il rinnovamento della struttura dell’offerta con l’inclusione sociale è coerente con il modello sociale europeo e essenziale per il successo della strategia proposta. Il Rapporto, che ha il limite di confinare l’azione del welfare alla sola dimensione redistributiva, va considerato un cantiere aperto per individuare una via concreta di avanzamento dell’Europa.
Il Rapporto Draghi: un cantiere aperto per salvare l’Europa
Marco Magnani ritiene che le azioni suggerite dal Rapporto Draghi discendano da alcuni valori affermati con chiarezza: prosperità, equità, libertà, pace e democrazia. Combinare il rinnovamento della struttura dell’offerta con l’inclusione sociale è coerente con il modello sociale europeo e essenziale per il successo della strategia proposta. Il Rapporto, che ha il limite di confinare l’azione del welfare alla sola dimensione redistributiva, va considerato un cantiere aperto per individuare una via concreta di avanzamento dell’Europa.
- Il punto essenziale da cui muove il Rapporto è la sfida esistenziale che attende l’Europa. È in gioco il modello economico-sociale che, nelle sue pur diverse versioni, nell’insieme l’ha caratterizzata dalla fine del secondo conflitto mondiale. Sintesi della crisi europea è lo stallo della crescita, in gran parte determinato dall’andamento stentato della produttività, particolarmente evidente se confrontato con la crescita statunitense e cinese. In un contesto esterno gravido di rischi come non mai, segnato dallo scoppio di una guerra minacciosa ai confini dell’Unione e dal profilarsi di una riduzione dell’impegno americano in Europa da un lato, dalle esigenze sempre più pressanti della transizione energetica dall’altro, il deficit di crescita e quindi di risorse è ancora più grave. Le tensioni crescenti all’interno dell’Unione, con il rafforzamento delle tendenze a rinchiudersi entro un orizzonte ciecamente nazionale a discapito della promozione dei beni comuni europei, peggiorano ulteriormente il quadro.
- Il Rapporto coglie molto bene la drammaticità di questa fase della storia dell’Unione, invocando urgentemente una strategia ampia e articolata per contrastare una deriva che appare oggi esiziale. Ne discende la scelta di un approccio estremamente pragmatico, privilegiando la ricerca di strumenti di intervento tempestivi, per quanto possibile al più presto operativi. Ciò naturalmente non significa che il Rapporto sia stato elaborato nel vuoto di ogni riferimento teorico, privo di un’impostazione di fondo insieme economica, sociale e politica. A mio parere, l’ispirazione che aleggia sullo sfondo può essere avvicinata al modello di un’economia sociale di mercato inteso, al di là dell’esperienza storica tedesca, come l’attuazione di interventi pubblici atti a accompagnare il funzionamento del mercato e ad assicurare la coesione sociale con una incisiva azione di redistribuzione tramite il sistema di welfare (questa interpretazione cozza evidentemente con analisi che vi scorgono invece una visione neoliberista della crescita potenzialmente autoritaria che trascura la giustizia sociale, in sintonia con il modello americano; si veda, ad esempio, Forum Diseguaglianze e Diversità, “Piano Draghi”, non ci siamo, ottobre 2024 o un eccessivo appiattimento sul modello americano e poco spazio effettivo per il modello sociale europeo; si veda A. Boitani e R. Tamborini, Il Rapporto Draghi non è una agenda per la sinistra, Menabò, 2 novembre 2024). Nel Rapporto si indica peraltro, andando oltre l’impostazione originaria della soziale Marktwirtschaft, la necessità di un “coinvolgimento più efficace e proattivo dei cittadini e un dialogo sociale che unisca sindacati, datori di lavoro e attori della società civile”, considerati “fondamentali per costruire il consenso necessario a promuovere i cambiamenti. La trasformazione può portare alla prosperità per tutti solo se accompagnata da un forte contratto sociale” (Rapporto Draghi, parte A, p.17.) A questa ispirazione si associa la centralità dell’orizzonte europeo, in due sensi: i) come espressione dei valori fondamentali posti alla base della costruzione comunitaria; ii) come unica prospettiva realistica per affrontare compiti che eccedono di gran lunga le possibilità dei singoli Stati, dall’altra.
- Quale è il grado di coerenza fra questa impostazione di fondo sottostante il Rapporto e le proposte presentate? La risposta a questa domanda è decisiva per valutare il documento in una prospettiva più ampia, di medio-lungo periodo; è tutt’altro che banale anche perché la parte analitico-propositiva del Rapporto è amplissima, sviluppata con un grado di dettaglio fuori dal comune persino per l’acribia di molti documenti comunitari. Sono individuate tre principali aree di intervento in corrispondenza con le tre grandi trasformazioni da affrontare: il divario di innovazione con gli Stati Uniti e la Cina, soprattutto nelle tecnologie avanzate; la decarbonizzazione e la competitività; la sicurezza e la riduzione delle dipendenze strategiche essenziali per una crescita sostenibile nel nuovo contesto geopolitico. Gli obiettivi specifici e gli strumenti per raggiungerli sono presentati in dodici studi corrispondenti ad altrettanti settori di attività economica; le politiche orizzontali indicate sono cinque: innovazione, competenze, investimenti, concorrenza, governance. Nell’insieme uno sforzo poderoso, animato soprattutto dalla ricerca continua di proposte operative. Non posso rispondere alla domanda sopra posta considerando l’intero spettro delle questioni affrontate nel Rapporto, alcune delle quali di grande rilevanza (basti citare la politica della concorrenza). Mi limiterò a svolgere qui alcune brevi considerazioni relative a due ambiti comunque centrali nell’impianto del documento: il ruolo dell’inclusione sociale e la concezione dell’intervento pubblico implicita nel piano per gli investimenti.
- All’inclusione sociale è dedicato un breve ma significativo paragrafo in cui si sottolinea l’esigenza che essa accompagni la crescita della produttività, con l’obiettivo di tutelare le persone più esposte nei processi di trasformazione tecnologica fornendo servizi pubblici adeguati, garantendo a tutti i lavoratori il diritto all’istruzione nonché le nuove competenze necessarie. Lo Stato sociale europeo è in questo senso più che mai fondamentale. Lo spazio dedicato all’inclusione non rende però a mio parere completamente giustizia al suo ruolo promotore della crescita. Si trascurano, ad esempio, gli effetti positivi di una minore diseguaglianza dei redditi sulla crescita rilevati in importanti studi empirici condotti anche dall’OCSE e dal FMI, sospinti soprattutto dalla ricaduta negativa della diseguaglianza sul capitale umano. In un recente contributo apparso il mese scorso su queste pagine (A. Hemerijck e D. Bokhorst, Perché l’investimento sociale è la chiave per realizzare il Rapporto Draghi, Menabò,13 novembre 2024) si sottolinea che il Rapporto “rappresenta un significativo passo in avanti nel considerare positivamente la relazione fra crescita economica e politica sociale”, ma non considera in misura adeguata la rilevanza che l’azione pubblica può dare alla crescita con politiche di investimento sociale (in primo luogo verso i giovani). Quest’ultimo svolge infatti la funzione di un fattore produttivo, per sua natura diverso dal tradizionale intervento redistributivo. In termini ancora più generali, forse esorbitanti l’approccio pragmatico del Rapporto ma non per questo irrilevanti, occorre ricondurre entro la nozione di inclusione, e quindi di giustizia sociale, non solo la tutela ex post delle persone tramite il welfare redistributivo ma anche le regole di funzionamento dei mercati e delle imprese (su questo E. Granaglia, A partire dal Rapporto Draghi. Per un welfare di aiuto, ma non ancella della crescita, Menabò, 2 novembre 2024, che riprende suggestivi echi rawlsiani). Un esempio classico in questo ambito è costituito dalle variegate proposte di democrazia industriale susseguitesi in Europa a partire dagli inizi del Novecento che hanno trovato una parziale realizzazione sostanzialmente di successo ma molto country specific in Svezia e in Germania.
- Il secondo tema riguarda gli investimenti aggiuntivi necessari per raggiungere gli obiettivi indicati nel Rapporto: 750-800 miliardi annui nel 2025-30 (attorno al 4,5% del PIL dell’UE del 2023), di cui circa la metà a carico delle finanze pubbliche nazionali o europee. Quasi il 60 per cento sono dedicati alla transizione energetica, circa il 35 per cento allo sviluppo delle innovazioni rivoluzionarie e delle tecnologie digitali, poco più del 5 per cento alla difesa e sicurezza. Il rafforzamento del bilancio dell’Unione è condizione essenziale per realizzare il programma, ma occorre affiancarvi l’emissione di debito comune europeo che consentirebbe la creazione di un safe asset europeo, con effetti determinanti per la Capital Market Union e per il finanziamento della componente privata degli investimenti. L’aspetto di questa strategia che va sottolineato è l’assegnazione alla politica di bilancio di un ruolo radicalmente diverso da quello prospettato dalla vulgata neoliberista, non solo perché considera le politiche industriali uno strumento indispensabile per orientare la struttura delle economie di mercato nel medio-lungo termine ma anche perché realizza l’emancipazione dall’ossessione del debito. In questo senso hanno ragione coloro che sostengono come il Rapporto Draghi metta al centro del dibattito pubblico europeo il ripensamento della politica di bilancio e dell’investimento pubblico (si veda Francesco Saraceno, Rapporto Draghi e investimento pubblico. Le mani legate dell’Europa, Menabò, 2 novembre 2024). Le ricadute del piano di investimenti proposto sulle finanze pubbliche degli Stati nazionali non sono in prospettiva peraltro irrilevanti; andranno affrontate con un approccio equilibrato che, al di là dell’emergenza, sia in grado di ampliare le risorse necessarie e che sappia bilanciare i costi economici dell’inazione con le esigenze di controllo delle dinamiche del debito (D. Franco, La sfida più grande è ampliare le risorse, Sole-24 ore, 1 ottobre 2024).
- In conclusione, il Rapporto esprime con chiarezza i valori ultimi a cui sono orientate le azioni volte a vincere la sfida esistenziale che attende l’Europa: prosperità, equità, libertà, pace, democrazia. Declina interventi basati in senso lato sulla necessità di rinnovare – con il contributo determinante dell’azione pubblica – la struttura dell’offerta, su una nuova governance ed assetti regolatori europei in grado di sostenere efficacemente gli ingenti investimenti che si rendono necessari, su una inedita priorità delle esigenze di sicurezza e difesa. In questo contesto, il Rapporto afferma l’importanza essenziale dell’inclusione sociale sia come caratteristica del modello economico sociale europeo sia come condizione di successo della strategia proposta.Emergono allo stesso tempo alcuni aspetti irrisolti negli interventi qui esaminati, ad esempio quelli relativi ai compiti attribuiti al welfare che non può essere limitato alla redistribuzione ex post, ma immagino che si possano citare altri esempi specifici considerando le proposte del Rapporto nella loro completezza. Nell’insieme, il Rapporto deve essere considerato un cantiere aperto che indica una possibile via concreta di progresso, pena il tramonto della prospettiva europea e dei suoi valori ispiratori.