Finanza

La finanza dei Comuni. Una questione pubblica da non trascurare

La nuova governance finanziaria europea ha modificato le regole per valutare annualmente i Paesi membri, in particolare la recente riforma del Patto di stabilità e Crescita prevede che lo sforzo fiscale dello Stato membro sia valutato osservando l’andamento della spesa (depurata di alcune componenti) anziché, come era nel sistema previgente, il raggiungimento di un predefinito livello del saldo strutturale (dato dalla differenza tra entrate e spese depurate dagli effetti del ciclo economico e dalle misure una tantum). La tesi sostenuta nel settimo Rapporto Ca’ Foscari sui comuni (2024), edito da Castelvecchi è che sarebbe un errore, miope e controproducente, applicare la nuova regola della spesa in modo meccanico ai Comuni, dove la flessibilità di bilancio è molto scarsa.

Sarebbe necessario, di contro, il sostegno della spesa corrente, per garantire la continuità alle realizzazioni del piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), l’esclusione degli investimenti dal contributo alla finanza pubblica che si richiederà agli enti di prossimità, l’attivazione di un modello perequativo verticale, l’integrazione dell’algoritmo econometrico con l’analisi concreta per definire i livelli essenziali delle prestazioni (LEP), la correzione dell’impatto del fondo crediti di dubbia esigibilità (FCDE) sul meridione. Imporre tagli al comparto rischierebbe di compromettere l’ottima performance dei Comuni che, ad aprile 2024, risultavano essere attuatori di oltre 58 mila progetti PNRR per un finanziamento pari a 26,7 miliardi di euro. È la dimostrazione che il calabrone continua a volare, a dispetto delle leggi della fisica, sorretto dalla resilienza di tanti amministratori che non vogliono perdere l’occasione che il Piano rappresenta per le comunità.

Il Rapporto insiste sui temi analizzati nella ormai pluriennale ricerca sui Comuni. Uno di questi è quello delle aree interne, cruciali per mettere a fuoco questioni come lo spopolamento e il dissesto idrogeologico. L’analisi condotta ha permesso di tracciare un quadro dettagliato e complesso della Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI), evidenziando le evoluzioni e le sfide nella transizione da politica sperimentale a politica strutturale. Un elemento centrale è la continuità nell’approccio integrato e partecipativo, volto a coinvolgere attivamente le comunità locali. Tuttavia, il passaggio dalla programmazione 2014-2020 alla programmazione 2021-2027 ha messo in luce i cambiamenti nella governance e nelle priorità strategiche ed è emerso come – nonostante gli sforzi per migliorare l’efficacia della politica – rimangano ancora aspetti da affrontare e perfezionare. Una delle sfide principali riguarda la necessità di un monitoraggio più approfondito e sistematico dell’implementazione della strategia. La mancanza di una valutazione dettagliata dell’efficacia delle politiche adottate, rappresenta un punto debole significativo. Un’altra criticità è il depotenziamento della struttura centrale di governance, necessaria per la diffusione delle buone pratiche e lo sviluppo della sussidiarietà.

Un tema che è all’origine della ricerca sui Comuni è quello della criticità finanziaria che, anche nel 2023, ha registrato una forte dinamica. 69 Comuni sono finiti in dissesto o riequilibrio finanziario pluriennale (di questi 40 per la prima volta). Lo squilibrio prodotto dal nuovo flusso di criticità è pari a 804,2 milioni, con un valore pro-capite medio di 1.404 euro. E, se si allarga lo sguardo allo stock delle procedure attive si individuano 498 Comuni, concentrati in tre regioni del Sud (Calabria, Campania e Sicilia). Si tratta di un fenomeno che non può essere sottovalutato. I comuni italiani (7.896 al 31 dicembre 2024) sono un comparto nel complesso virtuoso, ma ai circa 500 in criticità finanziaria acuta va aggiunto un altro migliaio che vivono sulla linea di galleggiamento (in cui, ad esempio il fondo crediti di dubbia esigibilità è troppo elevato rispetto alle entrate correnti accertate). Inoltre, molti grandi Comuni, dove la complessità rende più arduo il risanamento, localizzati nel meridione, mostrano importanti criticità.

È urgente pertanto una riforma organica del Titolo VIII testo unico degli enti locali (TUEL), di cui il Rapporto fornisce una proposta dettagliata e immediatamente applicabile, senza la necessità della delega legislativa.

Le direttrici della riforma si propongono: di riunificare in una procedura di risanamento finanziario la criticità finanziaria, superando lo stigma del dissesto; rafforzare l’apporto di assistenza tecnica con un approccio incisivo (affiancamento del comune, sostegno finanziario, poteri sostitutivi nei casi più critici); distinguere tra il ruolo del controllo esterno (svolto dalla Corte dei conti nell’ambito della verifica di legittimità regolarità dei bilanci), dall’azione di risanamento (svolta da un Tavolo formato dai ministeri preposti, Interno e MEF, e dall’ANCI per i comuni); ricondurre il percorso di risanamento all’interno del mandato elettorale; concentrare l’intero processo nella decisione annuale di bilancio; integrare la procedura di risanamento con un’azione di analisi predittiva, riproposta annualmente, tendente a prevenire la formazione delle situazioni criticità.

Tre gli approfondimenti esaminati nel poderoso tomo, cui sono dedicate specifiche sezioni. Il primo è un’analisi dell’impatto della riforma contabile prevista dal PNRR. Una riforma di sistema, destinata ad incidere in misura profonda sulla rappresentazione dei bilanci comunali, che presenta deviazioni aziendaliste da correggere agendo sul decreto legislativo 118, senza azzerare la contabilità armonizzata introdotta nel 2015 (che, dopo un decennio, comincia ad essere interiorizzata nei comportamenti amministrativi dei Comuni). Le principali distorsioni da correggere sono: l’uso della partita doppia, la sopravvalutazione del patrimonio, il disallineamento tra programmato e realizzato, la sottovalutazione della dimensione cognitiva. Il secondo approfondimento è dato da una riflessione sul lavoro nel Comune, che deve fare i conti con invecchiamento, blocco del turn over e nuove professionalità, temi cruciali per gestire una macchina complessa con una produttività multifattoriale molto estesa. Infine, il terzo approfondimento si sofferma sulla gestione associata delle funzioni, per mettere a fuoco il contributo che un ente di natura associativa, l’Unione, può fornire all’intero sistema multilivello, come catalizzatore dei reticoli amministrativi esistenti, dove può riportare i bisogni delle comunità messi a fattor comune.

Il Rapporto insiste sulla necessità di modificare incisivamente il modello di sviluppo esistente, giunto ai limiti dello sviluppo, con effetti inaccettabili sull’ecosistema e sulle disuguaglianze. E ritiene il modello sussidiario, con al suo centro il Comune, come una chiave per modificare il paradigma. Con l’Europa che rinnova gli impegni per una transizione verde e una digitalizzazione che vada a beneficio di tutti, seguendo il motto, forse da riscoprire, think globally and act locally, sono proprio i Comuni che, in Italia, posono concretizzare queste macro-politiche e per realizzare i grandi valori e obiettivi comunitari. In questo ruolo devono, pertanto, essere riconosciuti e sostenuti, anche nel più accidentato scenario che si sta determinando con le nuove regole di governance economico-finanziarie dell’Unione.

La riorganizzazione della governance finanziaria europea, che fa da sotto titolo al Rapporto, si inserisce in un contesto segnato da grande incertezza: geopolitica, ambientale e sociale. Le spinte regressive e, in alcuni casi, reazionarie, che pervadono l’Occidente, tendono a produrre polarizzazioni sconosciute nel passato. Le società esplodono, travolte da pulsioni irrazionali e identitarie. Il teorema dell’elettore mediano, spiegato nei manuali di economia pubblica, non riesce più a fornire una chiave per interpretare e regolare gli interessi che fisiologicamente confliggono nei sistemi complessi. Il confronto diventa scontro, che si sposta dal progetto alla sensazione, dalla testa alla pancia. Il reale non è più razionale e la verità del metodo scientifico viene sostituita da un approccio negazionista.

La spiegazione di questo fenomeno, che annulla lo spazio del centro, è data dall’esaurimento della capacità redistributiva del modello di sviluppo neoliberista, trasformato geneticamente dalla dimensione finanziaria. L’algoritmo finanziario, che senza interruzione cartolarizza ogni cosa, avendo come area di azione il mondo, è giunto ai limiti dello sviluppo. Crisi ambientale irreversibile e disuguaglianze intollerabili sono ormai evidenti, al punto che il NGEU li indica come assi strategici su cui concentrare risorse per contrastarli.

La M (merce) tra le due D (denaro) ha perso le caratteristiche originarie, della bananiera con il suo carico e le annesse polizze assicurative, e si è trasformata in un mosaico di plain vanilla senza contenuto, impacchettati in forme incomprensibili. Un sistema selvaggio, senza regole e limiti, che respinge ogni governance, anche timida, come quella che Obama tentò nella fase più intensa della grande crisi finanziaria del 2008. L’obiettivo del sistema è creare una D di arrivo maggiore di quella di partenza, eludendo con strategie pseudoscientifiche gli effetti drammatici che questo produce sull’ecosistema e frenando con riforme costituzionali autoritarie la ribellione delle moltitudini escluse.

Bisognerebbe cambiare il paradigma, come ha provato il NGUE che, sotto questo profilo, appare una goccia nel mare. La D, il mercato, dovrebbe essere il medium tra le due M e la M di arrivo si dovrebbe differenziarsi da quella di partenza poiché, in ogni ciclo, incorpora i bisogni in modo sempre più vicino al sentire della comunità. Il sentire è dinamico, mutabile al crescere del General Intellect. Si delineerebbe così un processo conflittuale in una cornice cooperativa, indirizzato verso la felicità, diritto inalienabile del popolo, secondo la dichiarazione di indipendenza americana.

Per muoversi in questa direzione e contrastare le spinte regressive è utile il principio sussidiario, esplicitamente introdotto anche nella Costituzione italiana con la riforma del 2001 (art. 118). La rinascita municipalista e il movimento a favore dei Commons esprimono un forte potenziale democratico, una vera e propria potenza istituente, se si coglie il nesso tra la collettività di diritto pubblico, che riunisce gli abitanti di una comunità che gode di un proprio statuto, e la dimensione dell’azione collettiva, il compito di compiere insieme. Il principio è bottom up e ciò significa che tutto deve partire dal Comune, il front office dello stato, che deve svolgere la funzione di regista di una meta governance. Perché la sussidiarietà non è solo verticale, tra livelli di governo, ma anche orizzontale. E nel mondo complesso e veloce il Comune può svolgere direttamente (o in forma associata) alcune attività “core”, ma ne può coordinare altrettante, svolte dai cittadini in vario modo organizzati, dalle imprese sociali, dal terzo settore e anche dalle imprese profit. La cosa importante è che la D sia in mezzo alle due M e il principio personalistico (che vede la persona al centro) esplichi la sua potenza modificando la M di arrivo. Le Costituzioni del Novecento, e quella italiana in particolare, mettono a fuoco molto bene questo processo. Per questo sono sotto attacco. Potenziare il Comune significa consolidare un argine, utilissimo in tempo di esondazioni, come quello che stiamo vivendo.