Finanza

La politica industriale è decisiva per il ruolo dell’Europa nell’ordine mondiale in evoluzione*

L’ordine mondiale sta cambiando rapidamente. In un mondo privo da tempo dell’Unione Sovietica, il tentativo della Russia di Putin di riaffermare la propria influenza attraverso l’aggressiva guerra in Ucraina, equivale alla disintegrazione del vecchio bipolarismo. Gli Stati Uniti, un tempo salutati come l’unica superpotenza rimasta, vedono ora la loro forza economica indebolita dalle sfide interne, tra cui quella rappresentata dalla seconda presidenza di Donald Trump. La Cina mira a diventare la potenza globale preminente, ma spesso agisce con un ristretto interesse egoistico, dando priorità agli investimenti che le assicurano materie prime o influenza politica. Ciò lascia all’Unione Europea il compito di assumere un ruolo di guida con il suo Green Industrial Deal. Tuttavia, l’UE incontra l’esitazione degli Stati membri, con il populismo che ha soppiantato gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) come quadro unificante in alcune nazioni, e con le politiche nazionali che spesso trascurano il bisogno di cooperazione all’interno e all’esterno dell’Europa. L’Unione Europea, insignita del Premio Nobel per la pace nel 2012, ha investito troppo poco per garantire la sicurezza dei suoi membri e dei suoi vicini in un mondo in cui i nuovi conflitti possono facilmente degenerare in guerre. Inoltre, non è riuscita a raggiungere l’obiettivo di una crescita ‘pulita’ e della stabilità sociale.

Una nuova politica industriale, come si sostiene in due mie pubblicazioni con Dani Rodrik e Christian Ketels, dovrebbe avere tre caratteristiche:

(i) adottare un approccio globale che comprenda non solo l’industria manifatturiera ma anche, più ampiamente, i fattori di produzione e le industrie di servizi correlate;

(ii) darsi obiettivi che non si misurano solo con il PIL, ma con il loro contributo al benessere economico;

(iii) fare del Green Deal europeo la pietra angolare della politica industriale.

Una politica industriale lungimirante è un obiettivo impegnativo, soprattutto se le parti politiche e gli Stati membri non riescono a collaborare. I partiti tradizionali hanno faticato ad attrarre gli elettori nel nuovo ordine mondiale, dovendo fronteggiare la concorrenza degli estremisti di destra e di sinistra. I partiti verdi raramente rimangono al governo per periodi prolungati e, allo stesso modo, i nuovi partiti liberali progressisti spesso trovano spazio solo nei governi di coalizione. Questi partiti liberali tendono a perdere influenza quando i deficit o i livelli di debito pubblico aumentano, mentre i partiti verdi spesso perdono rilevanza una volta realizzati i primi progressi ambientali, soprattutto quando emergono nuove sfide. Di conseguenza, le linee guida della Commissione europea e degli esperti indipendenti sono sempre più importanti e cresce la necessità di misure democratiche dirette.

Verso un nuovo Green Deal? Il Green Deal europeo è uno progetto ambizioso, con l’obiettivo di ridurre le emissioni nette di gas serra dell’UE del 50% entro il 2050. Comprende una strategia una ripresa economica ‘verde’, un fondo per la transizione equa, RepowerEU e un piano industriale (Green Deal Industrial Plan). Gli Stati membri devono contribuire a definire i dettagli specifici di queste iniziative. Il fondo per la transizione è destinato a potenziare e sostenere i Paesi con minori capacità economiche, mentre RepowerEU è la risposta dell’Europa alle sfide poste dal mercato globale dell’energia e alle difficoltà nelle forniture causate dall’invasione russa dell’Ucraina. Le importazioni di combustibili fossili dalla Russia dovrebbero essere gradualmente eliminate, la conservazione dell’energia dovrebbe essere rafforzata e l’efficienza aumentata, mentre l’energia pulita deve diventare la norma. Il piano industriale verde dovrebbe mitigare l’opposizione dei Paesi con ampi settori manifatturieri ancora dipendenti dai combustibili fossili.

Europa contro Cina e Stati Uniti. Un confronto tra gli sforzi dell’Europa e quelli della Cina e degli Stati Uniti rivela la peculiarità dell’approccio europeo, che combina misure top-down e bottom-up, cercando di bilanciare gli obiettivi sociali ed ecologici. Tesso, tuttavia, evidenzia anche che l’UE è in ritardo rispetto agli Stati Uniti in termini di produttività. Gli obiettivi del Green Deal europeo sono difficili da attuare e ogni Paese ha il proprio approccio. Negli Stati Uniti le politiche sembrano avere più successo nel breve termine, grazie all’ampio uso di energia fossile e all’introduzione di nuovi dazi doganali e di politiche commerciali restrittive. Tuttavia, è improbabile che il successo nel breve termine basato su tecnologie obsolete sia una strategia sostenibile a lungo termine, anche se, per ora, gli Stati Uniti continuano a registrare una crescita più elevata del PIL e della produttività, nonché un maggiore sostegno alle start-up e un tasso di disoccupazione costantemente basso. I migranti sono benvenuti per sostenere la crescita negli Stati Uniti, nonostante i movimenti anti-immigrazione e gli appelli a favore dei rimpatri da parte dei conservatori politici, tra cui il presidente-eletto Donald Trump.

La Cina continua a registrare una crescita relativamente elevata, con un peso crescente del settore manifatturiero. Produce beni e tecnologie verdi, come i piccoli veicoli elettrici, accanto ai tradizionali prodotti “marroni” e rimane dipendente dal carbone e dai nuovi reattori nucleari. Allo stesso tempo, le disuguaglianze aumentano e la Cina rimane un regime autocratico. I prezzi degli immobili aumentano, il nuovo debito viene occultato e gli investimenti internazionali sono guidati più dagli obiettivi della politica cinese che dal profitto.

L’approccio europeo potrebbe rivelarsi ambizioso ma vincente. L’Europa mantiene mercati aperti e non trascura le regioni o i Paesi più poveri, anzi li sostiene e non abbandona gli accordi internazionali anche quando sembrano meno vantaggiosi. L’UE incoraggia il commercio e gli investimenti con il Sud globale, anche se non in modo sufficientemente aggressivo. L’Europa potrebbe adottare una politica industriale più strategica, rafforzare il sostegno alle tecnologie emergenti rispettose del clima e garantire l’uso sostenibile e la valorizzazione dei materiali rari. Lo sviluppo di una politica industriale verde deve essere accelerato, mentre si deve evitare qualsiasi arretramento. Ciò contribuirebbe anche a frenare l’ascesa di un pericoloso populismo e a sostenere i movimenti politici centristi, invece di tornare a vecchi obiettivi conservatori e ristretti. Una nuova politica industriale deve avere molteplici obiettivi, che devono essere perseguiti e gestiti in modo efficace.

La politica industriale dell’UE mira a rafforzare la competitività dell’industria europea, che favorirebbe la crescita sostenibile e l’occupazione in Europa. La transizione digitale e il passaggio a un’economia a zero emissioni di carbonio hanno spinto a adottare strategie volte a migliorare le condizioni di contesto per le industrie dell’UE. Anche l’impatto della pandemia da COVID-19 e la guerra in Ucraina hanno stimolato una nuova riflessione sulla ripresa economica, la ricostruzione e la resilienza. Molti di questi nuovi obiettivi potrebbero essere raggiunti attraverso partenariati con il Sud globale, in particolare con i Paesi africani vicini. Tale collaborazione potrebbe favorire una transizione equa, promuovere lo scambio di tecnologie e sviluppare una strategia migratoria, anch’essa equa, che può contribuire a ridurre la sovrappopolazione in Africa, alleviando al contempo il problema dell’invecchiamento della popolazione dei Paesi europei più ricchi.

Il rapporto dell’Europa con i suoi vicini meridionali, in particolare con l’Africa, rappresenta sia un onere che un’opportunità. L’Africa è geograficamente più vicina all’Europa rispetto alla Cina o agli Stati Uniti, ma deve far fronte alla sovrappopolazione e al desiderio di molti di emigrare in Europa. I mercati internazionali dei capitali penalizzano ingiustamente l’Africa, spesso sospettando corruzione e interferenze dittatoriali. Questa dinamica rappresenta un’opportunità unica per l’Europa di impegnarsi in una politica di orientamento e sostegno.

Tutti questi elementi, se combinati, potrebbero incrementare il benessere e permettere all’Europa e ai suoi vicini di affermarsi come una potenza significativa nel nuovo ordine mondiale. L’Europa dovrebbe ricordare che, insieme ai suoi vicini, costituisce una forza formidabile, con una bilancia dei pagamenti positiva. Tuttavia, il continente è anche vulnerabile al populismo e spesso fa due passi avanti per poi farne uno indietro. L’apertura tecnologica è vantaggiosa, ma non deve essere una scusa per investire in tecnologie obsolete. L’Europa risente dell’influenza di un settore automobilistico che fa affidamento sui motori a combustione interna, con perdite di posti di lavoro e cali di produzione avvertiti non solo in Germania.

La nuova Commissione europea si trova di fronte a una sfida formidabile, ma anche a un’opportunità per rimodellare il ruolo dell’Europa nel nuovo ordine mondiale. Ursula von der Leyen e la sua squadra potrebbero aiutare l’UE ad assumere un ruolo di leadership significativo. La lettera di missione di Wopke Hoekstra, il nuovo commissario per il clima, la crescita pulita e l’azzeramento dei costi, illustra la complessità di questo compito, sottolineando la necessità di bilanciare la sicurezza, la prosperità e la democrazia all’interno della “transizione verde e digitale”, permettendo al contempo, all’Europa, di conservare la sua esclusiva qualità della vita .

Le riforme offrono opportunità all’Europa e ai suoi vicini. Viviamo in un nuovo ordine mondiale che comporta nuove sfide per le imprese e gli individui, richiedendo la decarbonizzazione e la risoluzione dei conflitti politici prima che degenerino in guerre. Questo nuovo contesto richiede anche la comprensione delle differenze culturali e il riconoscimento che, sebbene la povertà stia diminuendo, i progressi sono disomogenei e non universali. Per evitare contraccolpi populisti e nuove forme di autocrazia, le politiche devono essere elaborate con cura e comunicate in modo efficace.

L’Europa ha un ruolo e un’opportunità particolari in questo contesto: non ha una potenza militare, ma è stata fondata sui principi della risoluzione pacifica dei conflitti e della promozione di un modello economico in cui la pace, la mitigazione dei cambiamenti climatici e la riduzione delle disuguaglianze di reddito sono priorità assolute. In teoria, l’Europa segue un approccio “oltre il PIL” nel quadro degli SDG. In pratica, ciò richiede di spostare la politica verso una maggiore cooperazione, di lasciarsi alle spalle i conflitti storici e di abbracciare nuovi partenariati. Sostenere la pace in Ucraina richiederà di fare pressioni sulla Russia, ma anche sull’Ucraina: la vittoria totale è impossibile e sono necessari concetti quali neutralità e garanzie, come già si è visto in passato. Un approccio simile si applica al conflitto tra Israele e i suoi vicini: se da un lato non è giustificato un attacco a Israele, dall’altro è necessario affrontare il problema degli insediamenti forzati in altri territori.

Anche la politica migratoria necessita di un’attenta considerazione. Lasciare il proprio Paese non è mai una scelta facile. In tempi di guerra e tragedia, la migrazione è spesso l’unica opzione, come nel caso dei molti che fuggono dall’Afghanistan, dal Sudan e da altre nazioni africane. I Paesi europei sono spesso la destinazione preferita e ci sono appelli umanitari perché siano accolti questi migranti. Tuttavia, le differenze culturali possono portare a un contraccolpo populista e i partiti populisti guadagnerebbero così terreno. Questo accade nonostante la dipendenza dell’Europa dall’immigrazione: gli ospedali, i centri di cura, i settori edilizio e manifatturiero si basano tutti sulla manodopera immigrata. Senza immigrazione, la popolazione europea si ridurrebbe, come è avvenuto in Giappone nei suoi “decenni perduti” di declino della prosperità. Investire di più in Africa, in particolare nell’istruzione, aiuterebbe a ridurre la sovrappopolazione e ad avere immigrati più qualificati, meno dipendenti dall’assistenza sociale e meglio attrezzati per dare un contributo sia all’Europa che ai loro Paesi d’origine. Accettare le differenze culturali favorirebbe inoltre l’innovazione nonché nuove soluzioni.


* Questo articolo è stato pubblicato originariamente in inglese su Social Europe (13 dicembre 2024) e fa parte del progetto “EU Forward” che Social Europe gestisce in collaborazione con la Friedrich-Ebert-Stiftung.