Marconi prima di Musk. I padroni delle reti di comunicazione e i governi italiani
1. Per comprendere meglio ciò che sta succedendo attorno alla possibile concessione alle società di Elon Musk dell’infrastruttura necessaria alla comunicazione ufficiale del nostro Paese (compresi i rapporti con le ambasciate all’estero, l’intelligence e la difesa, le istituzioni internazionali) potrebbe essere opportuno ricordare cosa fece il fascismo di fronte alle richieste di Guglielmo Marconi.
Una premessa: le comunicazioni telegrafiche attraverso gli oceani erano possibili dagli anni Sessanta dell’Ottocento attraverso cavi sottomarini: una infrastruttura molto costosa e, come ci dicono anche le guerre attuali (Mare del Nord, Baltico e zone limitrofe), fragile e vulnerabile da forze ostili. La trasmissione di messaggi radio attraverso l’Atlantico, che richiedeva solo una stazione trasmittente e una ricevente, senz’altra infrastruttura materiale, fu sperimentata con successo nel 1901 da Guglielmo Marconi che inaugurò nel 1907 il primo servizio radiotelegrafico pubblico transatlantico con la sua Wireless Telegraph Trading Signal Company, per tutti la Marconi Company di diritto inglese.
Marconi rappresenta, insieme a Thomas Alva Edison, il prototipo del genio imprenditore: opposto all’inventore visionario e idealista impersonato da Nikola Tesla, avversario di Marconi anche nei tribunali. Elon Musk appartiene al primo tipo, ma gli piace somigliare a Tesla e gli ha intestato la sua auto elettrica.
La Gran Bretagna aveva accolto con interesse le proposte, ignorate in Italia, del giovane Marconi, peraltro con madre cittadina britannica e nativamente bilingue. L’Inghilterra, con un grande impero diffuso in tutti i continenti, aveva un’elevata necessità di comunicazioni transoceaniche. Inoltre, aveva la più grande flotta del mondo, e con la radio la comunicazione verso le navi in alto mare, e delle navi tra loro, finalmente poteva sfuggire al mistero che aveva avvolto la navigazione: in precedenza quando un battello era scomparso all’orizzonte, nessuno ne sapeva più niente finché non ricompariva – se ricompariva – davanti a un porto. La tragedia del Titanic (1912) avrebbe presto mostrato a tutti l’importanza della radio sul mare.
La Prima guerra mondiale è anche una guerra radiotelegrafica. Gli Stati Uniti entrarono in guerra solo il 6 aprile 1917 dopo molte incertezze. L’evento scatenante fu un telegramma del ministro degli esteri tedesco Arthur Zimmermann, oggi dimenticato (ma di qualche trumpiana attualità) con cui la Germania intendeva proporre al Messico di entrare in guerra contro gli Stati Uniti, promettendo di restituire al Messico il Texas, l’Arizona e il Nuovo Messico. Intercettato e reso pubblico dal Servizio segreto inglese, il messaggio determinò la discesa in campo degli Stati Uniti. Per la cronaca, il presidente messicano Venustiano Carranza rifiutò. Ma intanto gli Stati Uniti erano scesi in guerra, bloccando di conseguenza le compagnie radiotelegrafiche tedesche attive sul loro territorio. A quel punto si comprese che attraverso l’interconnessione migliaia di messaggi telegrafici britannici verso gli Stati Uniti erano stati intercettati da compagnie tedesche e ritrasmessi in Germania che ne ricavava copiose informazioni sul traffico marittimo utilissime per i suoi sottomarini in Atlantico. Inoltre le stesse stazioni radiotelegrafiche tedesche erano state determinanti per la propaganda tedesca (le fake news dell’epoca) rivolte alle comunità germaniche del Sud America e dell’Asia Sudorientale dall’agenzia di stato tedesca Transocean.
All’indomani della Prima guerra mondiale qualunque esperto di cose marittime (o ufficiale di marina sotto qualunque bandiera) sapeva bene che: a) il controllo delle comunicazioni radio è fondamentale se non si vogliono dare informazioni preziose a potenziali nemici; b) non c’è cifratura che tenga. Il problema sono i messaggi della gente qualunque, che involontariamente includono dati sensibili, che risultano determinanti per lo spionaggio.
2. Guglielmo Marconi era senatore del Regno d’Italia dal 1914, appena aveva raggiunto i necessari 40 anni di età; era stato ufficiale durante la Prima guerra mondiale, membro della delegazione italiana alla Conferenza di pace di Parigi, aveva manifestato simpatie nazionaliste e dannunziane; era iscritto al Partito fascista dal 1923.
Il suo rapporto con l’Italia era quello di un protagonista, contemporaneamente inventore e imprenditore. Nel 1902, aveva concesso ufficialmente all’esercito e alla marina italiana l’uso gratuito dei propri brevetti per 20 anni. Molte della sue sperimentazioni si erano svolte in Italia, particolarmente a largo della Liguria e a Coltano (vicino a Pisa, la riserva di caccia del re, che aveva concesso il terreno). Nel 1908 aveva aperto una officina nel Molo Vecchio di Genova per il montaggio delle sue apparecchiature elettrotecniche (oggi la definiremmo una “fabbrica cacciavite”).
Nel 1916, in piena guerra, aveva avuto in concessione i servizi radiotelegrafici internazionali da parte dello stato italiano, erigendo una grande antenna a Roma nei pressi di S. Paolo. L’Italia, è bene ricordarlo, era allora in guerra a fianco della Gran Bretagna.
Nell’Italia del dopoguerra Marconi manifestava al governo Mussolini, attraverso il suo luogotenente Luigi Solari, il suo interesse per tre questioni che poi erano una sola. In primo luogo, era scaduto il termine dei 20 anni di uso gratuito dei brevetti di Marconi da parte dell’Italia. Era necessaria una sistemazione, che tenesse conto anche dei servizi radiotelegrafici internazionali svolti dal 1916 in poi da Marconi, contrastando l’influenza tecnologica francese e tedesca (Telefunken e Compagnia radiotelegrafica francese, riunite nella società Italo-Radio, che aveva ottenuto nel 1923 una convenzione con il governo, voluta dal ministro delle Poste e Telegrafi Giovanni Antonio Colonna di Cesarò, ereditato dal governo Facta e presto dimissionario). Infine, quello che allora sembrava un argomento minore sarebbe presto diventato il più importante: la regolamentazione della radiofonia circolare, cioè delle trasmissioni radiofoniche, come era già avvenuto negli Stati Uniti, in Inghilterra, Francia, Germania, Belgio, Danimarca e altre nazioni. Ma le cose andarono diversamente.
Se a Marconi interessava un monopolio tecnologico, il ministro delle Comunicazioni Costanzo Ciano, ufficiale di marina, proponeva soluzioni plurime così da soddisfare le ambizioni dell’industria nazionale delle telecomunicazioni (Pirelli e Fiat), e un procurement che attingesse a fornitori e tecnologie di vari paesi: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania. Già i servizi telefonici, nel 1923, erano stati ripartiti fra 5 concessionarie territoriali. Per l’affidamento del servizio radiofonico un primo decreto (Regio Decreto-Legge 1 maggio 1924, n. 655) parlava, al plurale, di “concessionari”, non di un unico soggetto titolare dell’intera attività radiofonica. Sopraggiunse poi la crisi Matteotti (rapito il 10 giugno 1924 e ucciso) e la stretta del nascente regime contro la libertà di stampa, con i decreti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale l’8 e l’11 luglio. Il caso Matteotti impose un maggior controllo politico sulla futura informazione radiofonica; dal punto di vista del censore, un concessionario unico è più facilmente controllabile. Il 10 luglio, in esatta coincidenza con i provvedimenti contro la libertà di stampa, un nuovo decreto stabiliva un concessionario unico per la radiofonia (R.D. 10 luglio 1924, n. 1226).
Tuttavia il “concessionario unico” non fu la società Radiofono, espressione della Compagnia Marconi: il governo impose una nuova società, la URI (Unione Radiofonica Italiana), fondata da Radiofono e da SIRAC, emanazione di Fiat e Western Electric. Il presidente dell’URI sarà Enrico Marchesi, direttore amministrativo Fiat. La società, fondata a Roma il 27 agosto 1924, nel corso del 1927 sarà trasformata in un ente parastatale, l’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche. La Compagnia Marconi, pur avendo la maggioranza del capitale URI attraverso Radiofono, ottenne solo il vicepresidente nella persona di Luigi Solari. Le dotazioni tecniche della radio italiana furono un compromesso tra le sue apparecchiature inglesi e quelle americane Western Electric.
3. Tra il 1924 e il 1925 fu chiaro anche che non sarebbe stata più rinnovata la concessione del 1916 che affidava il servizio di radiotelegrafia ufficiale alla Compagnia Marconi. L’orientamento che prevalse fu quello di un unico ente amministrato dallo Stato per tutti i servizi radiotelegrafici, avvalendosi dei mezzi tecnici offerti dal mercato, senza alcuna esclusiva per Marconi, che pure era personalità di primissimo piano, fascista con tessera, senatore del Regno.
È comprensibile che nel clima culturale italiano di oggi il ruolo di Marconi, inventore geniale e collaboratore del fascismo, sia stato collocato all’apice nella narrativa del centenario radiofonico (è appena passato anche il 150 esimo della sua nascita) e della retorica sempre presente in questi casi; ma certo non vi fu una centralità marconiana nella radiofonia circolare, né nella radiotelegrafia, né nella fornitura delle attrezzature radioelettriche. Il governo fascista e il ministro Ciano furono molto attenti a non conferire un monopolio all’esponente di una potenza straniera, che poteva diventare nemica – come in effetti poi accadde – sia per mantenere la segretezza delle comunicazioni sensibili e strategiche, sia per ridurre l’arretratezza tecnologica attingendo contemporaneamente a più fornitori. Se il paragone di Marconi con Elon Musk può essere suggestivo, questa cautela politica di Mussolini e tecnica di Ciano potrebbe essere opportunamente tenuta presente dai governanti di oggi.